L’altra metà del Sole
Spazio tra gli spazi, limbo tra una soglia e la successiva. Che sia effettiva o metaforica. Lo spazio liminale è il transito: non essere più dove si era, ma nemmeno ancora dove si arriverà.
A coniare il termine è stato l’antropologo Arnold van Gennep nei primi anni del ‘900, all’interno della sua teoria sui riti di passaggio. Oggi, sappiamo che gli spazi liminali possono avere un forte impatto sul nostro benessere psicologico. Per capire quale, è necessario prima comprendere a fondo cosa siano.
Quelli fisici sono semplici da individuare: un ascensore, un aeroporto, un ponte, un treno. Tutti luoghi in cui si trascorre un tempo – più o meno lungo – nell’attesa di giungere da qualche altra parte.
Esistono però anche spazi liminali meno immediati, ossia quelli psicologici, che si dividono in emotivi e metaforici. I primi accompagnano le transizioni di vita: un divorzio, un trasloco, la stessa adolescenza. I secondi esistono nella mente della singola persona. Il processo che accompagna una presa di decisione ne è l’esempio più lampante. Sia che la scelta riguardi un viaggio, un lavoro o una questione sentimentale. A prescindere dalla tipologia, gli spazi liminali di tipo psicologo sono quegli accadimenti che impattano sui vissuti emotivi della persona e determinano un “prima” e un “dopo”.
Di per sé, una condizione di questo tipo non induce necessariamente un impatto negativo sul benessere psicologico dell’individuo, eppure può nascondere alcune insidie. Il passaggio può infatti essere graduale e indolore, ma può anche rivelarsi repentino e traumatico. Le due condizioni che però generano maggiore malessere emotivo sono percepire l’incertezza del dopo e sentirsi bloccati nell’ora.
Il futuro è per definizione incerto. All’aumentare della precarietà aumenta l’ansia ad essa associata. Quest’ultima è infatti la paura anticipatoria di ciò che potrebbe accadere. Ma di cui non si ha – appunto – la certezza. L’imprevedibilità e l’ignoto che caratterizzano ogni transizione possono pertanto essere fonte di malessere: so cosa lascio, non so cosa trovo.
“Stuck”, per dirla all’inglese. Quella sensazione che si può percepire in uno spazio liminale, nel momento in cui ci si sente bloccati lì. Si pensi a un divorzio conflittuale e molto lungo, oppure a un ascensore che si blocca all’improvviso. Due esempi molto diversi che pongono però di fronte a un futuro che non arriva e a un presente che si dilata, finendo per far perdere alla persona la percezione di controllo sulla situazione. Ed è così che si genera frustrazione, rabbia, impotenza.
Nonostante i possibili impatti negativi degli spazi liminali sul proprio benessere psicologico, è tuttavia opportuno sottolineare che essi sono necessari. Si pensi a una casa senza porte o a una pista di decollo senza aeroporto.
Le transizioni sono funzionali al cambiamento: al farne esperienza e al poterlo elaborare. Determinano una sorta di limbo, dove il tempo assume un altro ritmo e consente la gradualità del passaggio. In un certo qual modo, potremmo arrivare a dire che gli spazi liminali permettono l’ossigenazione della psiche.
Ecco allora che difendere e ricercare – anche attivamente – spazi liminali può diventare un’attività per prendersi cura di sé e della propria salute psicologica. Sostare con la mente nei possibili esiti, piuttosto che prendere immediatamente una decisione, così come godersi il tempo sospeso che uno scalo in aeroporto può offrire, sono tutte occasioni nelle quali si ha la possibilità di stare con sé e comprendersi a fondo.
Non avere fretta di arrivare, ma godersi il limbo tra la partenza e la destinazione, è una condizione necessaria al proprio benessere. Ogni persona funziona alla sua velocità, ma chiunque ha bisogno di attraversare soglie.
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